Sul numero di giugno di Gardens Illustrated è stata scelta, messa in rilievo e infine premiata la lettera di un abbonato che vorrei qui tradurre perché pone una domanda che fa riflettere: have ‘overbred’ new plants lost the charm of their wild ancestors? (le nuove piante eccessivamente selezionate hanno perso il fascino delle loro progenitrici selvatiche?)
Un passo avanti e due indietro
La recente pubblicazione di un catalogo che illustra le nuove cultivar di iris mi ha fatto riflettere sugli obiettivi dei moderni ibridatori di fiori e sono stato preso dallo sconforto. Sembra che colore e dimensione siano la prima preoccupazione, presto si arriverà ai fiori doppi. Il colore mancante è sempre irresistibile: il Delphinium rosso e la rosa blu.
Lo sviluppo degli iris è paradigmatico del processo. E’ ora possibile ibridare iris di qualsivoglia colore e sono stati creati alcuni fiori davvero meravigliosi. Il disastro comincia quando si inizia a lavorare sulla forma. In natura, i giaggioli mettono insieme eleganza, tessitura cangiante e, soprattutto, una forma simmetrica in tre parti. Gli ibridatori moderni sembrano ossessionati dall’eccessiva elaborazione della già aggraziata forma naturale del fiore. Il risultato è una serie di esemplari in cui ogni singolo petalo è arricciato sia all’estremità che sulla superficie in maniera tale da oscurarne la pacata, caratteristica bellezza. Le loro creazioni non sfigurerebbero sul palco delle Folies Bergère. Un fiore pieno di grazia è diventato un brillante pom-pom di colore che turbina in giravolte frenetiche.
Già alla fine del 1800, Gertrude Jekyll ci metteva in guardia dai selezionatori che non sanno dove fermarsi:
E tutta questa parata di distorsioni e deformità è provocata dal fatto che il coltivatore perde di vista il concetto di bellezza come considerazione prima, e dal fatto che non ha quella conoscenza che gli permetterebbe di stabilire quali sono i punti caratteristici nelle varie piante che più meritano di essere migliorati, e nel suo non sapere quando o dove fermarsi.
[…]
E per tutta la riconoscenza che provo verso coloro che si dedicano al miglioramento dei fiori da giardino, mi azzardo a ripetere la mia ferma convinzione che i loro sforzi nella selezione e in altri metodi dovrebbero esser diretti al fine di tenere sempre presente in primo luogo, e come punto di merito, il raggiungimento della bellezza; e non limitarsi a un semplice aumento di grandezza del fiore o ad una compattezza di forma – molte piante sono state rovinate da un eccesso di entrambe queste tendenze; non dunque per la varietà o la novità fini a se stesse, ma soltanto per apprezzarle e offrirle quando hanno un chiaro valore per il giardino, nel senso migliore del termine.
Gertrude Jekyll, Bosco e giardino, Franco Muzzio Editore
E qui si arriva nel campo minato del giudicare la bellezza di questo o quell’ibrido, di chi dovrebbe farlo e chi potrebbe avere la responsabilità di introdurre sul mercato le nuove cultivated variety. Il gusto del pubblico? le esigenze commerciali? la spinta economica? la concorrenza? una commissione di anime illuminate? un consiglio dei giusti? la lotteria del caso? il coraggio del singolo? Io penso che ciascuno dovrebbe/potrebbe affinare una tecnica personale e smascherare in proprio ciò che è giusto e funziona dal ciarpame che lo circonda e ottunde i sensi.
La verità è che la grandine ha provocato terrore e devastazione in vivaio e io oggi proprio non ce la faccio ad affrontare il mondo là fuori.