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Biennale Architettura 2018: alcuni progetti

Mi avvantaggio della giornata di pioggia per appuntare alcune delle cose che mi sono piaciute in questa Biennale. Non utilizzo molto il blog ultimamente ed è un vero peccato perché scrivere qui mi aiuta a fare ordine e mi dà una memoria di lungo corso; la scrittura pubblica obbliga ad un minimo di coerenza, quantomeno lessicale! E se scrivo qui ricordo meglio, butto via gli appunti volanti, elimino le foto estemporanee e soffio via l’inessenziale. Spero serva a qualcuno: la Biennale è un’esperienza che prova il fisico, magari se mi leggete riesco ad alleggerirvi il compito.
Metterò qualche immagine sul mio profilo Instagram.

Corderie-Artiglierie
(Forse qualcuno un giorno mi spiegherà la ratio della numerazione degli stand: si passa, sullo stesso corridoio, dai numeri 77, 53, 42, 80, 100 etc. Sarò un animo semplice, ma forse chi ha dato questa numerazione è davvero troppo complicato.)

N.51 – Case Design – A school in the making
N.42 – Arrea Architecture – Unveil the hidden
N.65 – Jensen & Skodvin Arkitekter AS – Protective roof over Moya spring water source
N.62 – Gumuchdjian Architects – Tread lightly, a linear festival along the transcaucasian trail

Giardini
Padiglione centrale

Vi consiglio di fermarvi al Freespace Films: oltre alle comode poltrone, i video sono davvero interessanti. In particolare segnalo quello di Christian Lund su Hiroshi Sambuichi “One with the Earth Cicle”.

Appena passata la sala delle proiezioni, fermatevi a guardare dalla finestra a due tondi di Carlo Scarpa, vale un minuto, vale un pensiero – è stata riaperta in occasione di questa Biennale.

Come pure vale una visita approfondita la sala dedicata a Luigi Caccia Dominioni (bellissimo progetto di Cino Zucchi).

Da vedere assolutamente la sala N.4 di Atelier Peter Zumthor – Dreams and promises, models of A.P.Z.
(Tra l’altro, inizialmente non avevo visto il divieto di scattare foto, e ne ho fatte alcune. Le riesumerò per Instagram. Giuro che è stato involontario e non ha causato danni.)

Per ciò che riguarda i padiglioni dei singoli partecipanti, senz’altro rivedrei la Svizzera (che ha vinto questa edizione). Ha portato un lavoro interessante sugli interni degli appartamenti contemporanei.
Mi è piaciuto anche il Giappone.

Ora è uscito il sole e vado in vivaio.
Ulteriori approfondimenti a venire, tornate!

via Pontemaggiore

Se frequentate la zona ve ne sarete già accorti: via Pontemaggiore – dove si trova il vivaio! – è chiusa al traffico. Il Comune di Capannori ha avviato i lavori per estendere la rete fognaria e la strada resterà inagibile per qualche tempo – sul foglio che il Comune ha affisso sulla rete c’è scritto dal 26 febbraio al 26 marzo, ma chissà.
Naturalmente per me è un disagio non indifferente, ma vorrei facilitare le persone che vogliono venire in vivaio, quindi, se avete questo desiderio, chiamatemi (349/6687289) e vi forniremo un varco!

Grazie per la pazienza e scusate l’inconveniente.

VerdeMura 2018

Come alcuni già sapranno – la notizia è uscita sui giornali locali – la mostra mercato primaverile di Lucca ha cambiato posto: da Porta Santa Maria (zona nord-est delle mura) a Porta San Donato (parte ovest delle mura). Qui trovate il comunicato del Comune.

Devo dire la verità, a me piace di più la zona di Santa Maria, ma chissà, voglio essere aperta al cambiamento, soprattutto in un giorno come oggi: tanti auguri a tutti!

nomi che cambiano

Ripetendo il mantra:

Scientific accuracy is important, but sometimes compromises have to be made.

(L’accuratezza scientifica è importante, ma talvolta qualche compromesso è necessario.)

appuntiamoci alcuni nomi scientifici di piante che sono/stanno cambiati/cambiando, cambieranno – questo pasticcio perché alcuni sono in mutazione già da tempo, ma incontrano qualche resistenza a essere memorizzati.

Vi rimando alla pagina di Guy L. Nesom in cui si fa una disamina dei cambiamenti nella famiglia delle Asteraceae/Compositae. Enjoy!

René Redzepi

Come ho già scritto, ho un account Instagram @ilpostodellemargherite dal 16 ottobre dell’anno scorso. Per lo più carico foto di fiori, piante, giardini – anche parecchi semi – e seguo persone che hanno gli stessi interessi: si dà e si prende, si impara e (forse) si insegna.

Per ora vi segnalo @reneredzepinoma che, come avevo già segnalato, è “una specie di animale da pascolo, scopritore di erbe, alghe, licheni e cose vegetali curiose”. Vi consiglio soprattutto le Instagram Stories, dove esce tutto il suo genuino, impetuoso, a tratti pazzo temperamento pronto a provare qualsiasi erbetta in cui incappa.

C’è tanto da ammirare in una persona così avida di esperienze e generosa nel donarle; senza filtri e con molte risate.

wild at heart

Ci sono questa canzone di Niccolò Fabi e questo articolo di Christian Raimo – se state vivendo un momento di tristezza, achtung!, magari non ascoltatela/leggetelo in sequenza ma fate passare qualche ora frivola tra una e l’altro – bellissimi.

E c’è questo libro

il cui sottotitolo DESIGNING PLANT COMMUNITIES FOR RESILIENT LANDSCAPES è rincuorante e apre nuovi modi di costruire un futuro umano appagante e inclusivo, incurante della rapacità di alcuni. Lo sto leggendo e mi sta insegnando tante cose che presto cercherò di fare vostre.

E poi c’è anche quest’altro libro

che voglio comprare al più presto.

Basteranno le giornate di pioggia?

PS: grazie a chi legge il sito e a chi compra le mie piantine! (L’imbarazzante verità è che vi voglio bene.)

VerdeMura e alberi in città

Segnalo un incontro davvero importante che si svolgerà in occasione di VerdeMura:

venerdì 1° aprile presso la porta Santa Maria si terrà la tavola rotonda, moderata da Francesca Marzotto Caotorta, Alberature urbane tra presente e futuro.

Interverranno Francesco Ferrini, professore di arboricoltura dell’Università di Firenze, Francesco Mati, della nota famiglia di arboricoltori pistoiesi, Antimo Palumbo, storico degli alberi e divulgatore scientifico romano e il professore Giacomo Lorenzini del dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Pisa.

È un tema molto interessante e di grande attualità – non solo in Italia, ma in tutte le città (sia le capitali, che le piccole realtà) soprattutto europee che si trovano in questi anni a gestire un patrimonio arboreo tanto fondamentale quanto problematico. Vi invito a tralasciare per un attimo gli acquisti e a dedicarvi all’incontro, sia per imparare che per partecipare alla discussione.
Se avete la possibilità di divulgare la notizia sui social, per cortesia, fatelo; credo che una cittadinanza consapevole, interessata e attiva sia quanto di più sano possiamo augurarci per la vita di tutti (alberi compresi).

lo sapevo!

Per caso sono inciampata su questa fotografia (qui la trovate più grande) che ha confermato i miei sospetti: anche a Dan piacciono le margherite che lo superano in altezza!

The Plant #8

– Prima di tutto c’è un articolo ben fatto e illustrato sui giardini che i rifugiati siriani allestiscono nei centri di accoglienza in Giordania.

Un’intervista a Gilles Clément a proposito del giardino che ha creato a Melle, un piccolo paese a ovest della Francia, fra Nantes e Bordeaux: il Giardino d’Acqua e Ortica. Mi piace perché su The Plant le interviste sono lunghe e approfondite e spesso vertono sugli ultimi lavori o addirittura quello che verrà fatto nel prossimo futuro, non si limitano a ripercorrere la carriera di un paesaggista, ma lo incalzano sul presente.
Sul progetto e su G. Clément ho opinioni contrastanti e rimango irrisolta, però questo giardino lo vorrei vedere.

– Un articolo su un designer che non mi piace. Ma al momento ho grossi problemi ad accettare qualsiasi oggetto che abbia la pretesa di non deperire a breve – tutta roba che ci rimane tra i piedi per troppo, troppo tempo.

– Un approfondimento sul lavoro di Camilla Goddard, apicoltrice urbana a Londra.

– Un articolo davvero molto interessante sulla cura degli alberi nei giardini tradizionali del Giappone e la spiegazione dello stretto legame fra natura e cultura nel dispiegamento della bellezza di un giardino.

– Una visita a Chernobyl.

Georgia O’Keeffe.

– Un approfondimento sulla coltivazione del Ficus lyrata.

E molte altre cose, immagini, disegni – un po’ di materiale lo trovate qui.

Catalogo della Vita

Ogni tanto facendo lo slalom in rete si incontrano siti interessanti, e io mi sento proprio grata che esista internet e desiderosa di condividere. Soprattutto penso sia un mezzo potentissimo per parlare e trovare notizie su argomenti che coinvolgono meno persone rispetto alla pastasciutta – ciò detto, a me la pastasciutta piace molto. E poi chissà, magari un giorno andremo di moda anche noi impallinati con le piante e ci saranno siti con milioni di visite e agli orti botanici si entrerà solo con prenotazione di mesi e mesi prima; sarebbe bello e io voglio crederci.

Ci penso da un po’ e ancora di più mi è balzato agli occhi durante la serata A.Di.P.A.: perché non ci impegnamo tutti a fare proselitismo verde? Alla fine ci si trova sempre a parlare tra simili: io certo non dovevo convincere nessuno ad amare e conoscere le piante, i soci A.Di.P.A. sono bravissimi e ne sanno più di me. Per carità, è bello condividere, ma adesso abbiamo bisogno di crescere di numero. Semplicemente perché il posto dove viviamo sia accogliente, pulito, amato e curato, e più le persone conoscono la natura, più saranno rispettose e attente, anche capaci di opporsi con forza ad alcune pratiche considerate di prassi e mai messe in discussione (penso alle capitozzature, all’uso dei pesticidi un tanto al chilo, etc… ). Dovrebbe nascere la campagna “Porta con te un amico che non ne sa niente”: ad una mostra mercato, all’orto botanico, a rinvasare le orchidee, a dividere i mughetti, a seminare le zinnie, a cogliere i pomodori, quello che state facendo al momento. Amici, andiamo e moltiplicatevi!

Nella fattispecie, stavamo parlando di internet e siti interessanti. C’è il Catalogue of Life, un database online che raccoglie, con grande accuratezza scientifica, un’infinità di specie animali, vegetali e non solo. Voi inserite il nome (anche comune) nella stringa di ricerca e vi saltano fuori parecchie caratteristiche – ad esempio il luogo d’origine, che è sempre molto utile ai fini della coltivazione.
Oppure c’è la Lista rossa delle specie in pericolo di estinzione grazie alla quale conosciamo piante e animali che hanno difficoltà a sopravvivere nel proprio habitat – avreste mai detto che l’Armeria pseudarmeria fosse endangered?

prosa d’autunno

So che con l’autunno scatta la commozione e dovrei forse proporre fotografie di struggimento: foglie che virano al rosso rugginoso, bacche che racchiudono segreti, castagne pungenti, funghi, atmosfere boschive e tutta la retorica sia in immagini che in rievocazioni poetiche. Però, appunto, molto spesso è mestiere e non riesce più a comunicare niente a parte una blanda condivisione, un sentimento generico.

La verità, per me, è che mi accorgo che è arrivato davvero l’autunno quando il mio olio di cocco diventa burro. Prendo la boccetta, svito e rovescio nelle mani ma non esce niente; è un attimo.
Posso aver visto mille foglie rosse, cento petali che cadono, ma la vera prova che è arrivato l’autunno è solo nella mia boccetta di olio di cocco.

Le regole del caos

Mi spiace dirlo perché apprezzo molto sia Kate Winslet che Alan Rickman, ma è davvero un brutto film. Io ne sono rimasta delusa sotto ogni punto di vista, sia come film in sé che nello svolgimento di un tema e nella trattazione di un argomento in parte conosciuto.

evoluzione delle piante #2

Continua da ieri:

Pure le antenate delle solanacee erano tossiche, per difendersi da funghi e insetti, ma grazie alla modificazione genetica inconsapevole oggi mangiamo melanzane (dall’Africa), patate (dalle Ande, dove ancora resistono 5 mila varietà differenti), pomodori e peperoncino (dall’America centrale e meridionale).
In questa storia di geni prima della genetica, per prima venne la Mezzaluna Fertile: la regione dei monti Karakadag in Turchia ospita ancora quello che la biologia molecolare ha mostrato essere l’antenato comune di tutte le varietà di frumento oggi coltivate. Tuttavia la domesticazione delle piante avvenne in più luoghi della Terra indipendentemente, forse persino sei o sette volte in un periodo compreso tra 11 mila e 7 mila anni fa, interessando di regione in regione le diverse specie localmente disponibili. Da questi nuclei originari si diffuse poi in due modi: con l’apprendimento delle tecniche e il trasferimento culturale, oppure con l’espansione demografica dei coloni agricoltori. Le piante coltivate fecero grandi viaggi planetari, soprattutto grano, mais, riso, legumi e piante da frutta (la prima fu il fico), ma anche cacao e caffè. Le grandi ricette della cucina italiana sono a base di piante provenienti da tutto il mondo.

°*°*°

Grazie alle piante coltivate il mondo non fu più lo stesso: la crescita della popolazione innescò colonizzazioni, meticciati e conflitti. L’accumulo di risorse permise la nascita di ceti non produttivi: i politici e i burocrati, i soldati, i sacerdoti, gli artigiani, gli scribi e gli intellettuali. La maggiore disponibilità di cibo produsse un aumento della densità di popolazione, che a sua volta incrementò la domanda di coltivazioni. Eppure noi oggi pensiamo che l’agricoltura sia il dominio del “naturale” per eccellenza. In realtà fu il momento in cui per la prima volta l’Homo sapiens riuscì a far produrre agli ecosistemi ciò che naturalmente non avrebbero mai generato. Fu a tutti gli effetti una forzatura del gioco evolutivo. Un vigneto in Toscana o i terrazzamenti delle risaie in Laos oggi ci sembrano l’emblema di paesaggi integri e naturali, ma sono il frutto di migliaia di anni di interventi umani. Nell’evoluzione umana il confine fra naturale e artificiale ha cominciato a sgretolarsi migliaia di anni fa e oggi è impossibile da tracciare.
Se adottiamo uno sguardo evoluzionistico, scopriamo qualcosa di ancora più sorprendente. Noi non coltiviamo le querce e non mangiamo le ghiande (sono amarissime). Solo poche migliaia di specie vegetali sono commestibili, e poche centinaia sono state addomesticate. Affinché convenga investire tempo ed energie per coltivarla, una pianta deve essere ricca di sostanze nutritive, produrre raccolti abbondanti e accessibili, avere una crescita veloce. L’accoppiata di cereali e legumi, per esempio, è un’ottima fonte di energia a base di carboidrati e proteine. Il sapore non deve essere eccessivamente amaro, né il frutto o il seme eccessivamente duri. Possedere o meno queste caratteristiche mise in competizione involontaria le specie vegetali fra loro nell’essere più o meno appetibili per i primi agricoltori. In pratica, alcune piante ci hanno “usati” come veicolo di diffusione e hanno avuto un successo globale. Non solo, le piante si sono coevolute con noi e hanno cambiato la nostra fisiologia, attraverso l’alimentazione, la medicina, la cosmesi, le sostanze psicotrope, le spezie, i tessuti, gli innumerevoli materiali di origine vegetale (dal legno alla carta alla gomma). Insomma, noi pensiamo di averle addomesticate, ma forse sono loro ad avere addomesticato noi.

evoluzione delle piante #1

Ho pensato che trascrivendo qui l’articolo per intero forse diventiamo tutti più colti, intelligenti e preparati – ho detto forse.

Mais, mandorle, mele. Così la mano dell’uomo ha pilotato la natura
di TELMO PIEVANI

Tutto cominciò quando i ghiacci iniziarono a ritirarsi. Intorno a 11 mila anni fa i rigori glaciali allentarono la presa e le popolazioni umane impararono a coltivare alcune delle piante di cui già si cibavano allo stato selvatico. Non che prima non fosse successo nulla: gli archeologi hanno scoperto macine e pestelli, con i quali venivano preparate farine di tifa (una pianta palustre comune) per fare proto-gallette, in siti di Homo sapiens risalenti a 30 mila anni fa. Quindi nella notte dei tempi molti tentativi di stoccaggio, di semina e di lavorazione delle piante potrebbero aver preceduto la rivoluzione agricola.
Già i Neanderthal masticavano camomilla e sceglievano le piante giuste per disinfettare la bocca e lenire i dolori, ma solo i nostri simili capirono come selezionare le piante per i loro scopi, modificandole attraverso incroci mirati. Si chiama “selezione artificiale” e può trasformare radicalmente la morfologia e il genoma di una pianta: si scelgono a ogni generazione gli esemplari con le caratteristiche più favorevoli (frutti più dolci e carnosi, semi più facili da raccogliere) e li si fa riprodurre a scapito degli altri. La storia del mais, uno dei cereali più coltivati al mondo, mostra come i primi agricoltori fossero ottimi agronomi, e inconsapevolmente anche genetisti. In Messico, circa 8.700 anni fa, venne selezionata una varietà di teosinte, pianta selvatica cespugliosa che cresce nella Sierra Madre, con una particolare mutazione che riduce il numero delle sue ramificazioni. In questo modo le “pannocchie” (in realtà spighe, le infiorescenze femminili del mais) essendo meno numerose, sono diventate di dimensioni enormi (da un centimetro a quarantacinque). Teosinte e mais oggi sono due piante diversissime, ma il primo è il diretto antenato del secondo. Anche il popcorn ha radici antiche: già 6.700 anni fa gli abitanti della costa settentrionale del Perù mangiavano il cereale gonfiato come spuntino.

*°*°*

Risultato: compaiono stranezze genetiche come mele domestiche (il cui progenitore vive nei monti del Kazakistan e Cina) con un diametro triplo rispetto alle selvatiche, piselli dieci volte più grossi, banane e clementine senza semi. Le mandorle sono geneticamente modificate da migliaia di anni. Quelle selvatiche di origine asiatica infatti sono letali. Contengono amigdalina, una sostanza che, oltre a conferire un sapore amarissimo, durante i processi digestivi si scinde a produrre cianuro: una manciata di mandorle “originali” basta per uccidere un uomo. Una mutazione genetica può però inibire nel mandorlo la produzione di amigdalina. Generalmente questi individui mutanti non si diffondono nella popolazione perché i loro semi vengono mangiati dagli uccelli. Un agricoltore attento deve essersi accorto della piacevole caratteristica di questi esemplari, magari osservando proprio il comportamento degli uccelli, e ne ha fatto incetta favorendone la diffusione, prima inconsapevolmente e poi seminandoli direttamente.

to be continued

domesticazione delle piante

Sulla Lettura – inserto domenicale del Corriere – di oggi c’è un articolo interessante (ho controllato e al momento non compare online) di Telmo Pievani sulla “coevoluzione”.
Appunto qui la bibliografia essenziale sull’argomento che correda l’articolo, appena ho tempo ne parlo più diffusamente.

Jared Diamond ricostruisce i processi di domesticazione delle piante in Armi, acciaio e malattie (Einaudi, 1997). Sui percorsi delle piante dopo la scoperta dell’America: Alfred W. Crosby, Lo scambio colombiano (Einaudi, 1992). Su una pianta particolare: Mark Pendergrast, Storia del caffè (Odoya, 2010). Alla coevoluzione fra le piante e l’uomo è dedicato il “Giardino della biodiversità”, il nuovo science center dell’Orto botanico di Padova.

Beth Chatto

Ma che vivaio figo che ha Beth Chatto.

È che questa primavera devo rifare la parte davanti del vivaio (la parte dietro è stata sistemata l’anno scorso) e ho un sacco di pensieri. Beth, aiutami tu!

azienda agricola Floriddia

Andai a vedere l’azienda agricola biologica Floriddia nel mese di giugno dell’anno scorso e le colline dal profilo morbido e accogliente seminate a cereali mi sembrarono un vero spettacolo, lontano dal racconto a volte troppo vernacolare che si fa della Toscana: era una vista che portava verso un futuro bello e pulito, alla luce forte del sole.
Come potete leggere dal loro sito, curano direttamente l’intera filiera; coltivano vari tipi di grano, avena, farro, miglio, ne ricavano farine, coltivano anche legumi (ceci, lenticchie), producono pasta di diversi cereali e due volte alla settimana sfornano un pane sopraffino – casualmente mi trovavo lì al momento in cui uscivano le pagnotte fragranti, mezzo chilo di piacere.
Andai una seconda volta a dicembre ed ebbi l’opportunità di visitare il mulino e il forno. Spesso parlando di attività antiche, soprattutto legate alla terra, si tende a confondere il pittoresco con l’autentico – forse tutti abbiamo l’immaginario guastato da anni di pubblicità che mostrano contadini che accarezzano le spighe e falciano a mano (e da soli!) ettari di campo. Bene, per fortuna non è così e spero che al più presto anche i pubblicitari se ne accorgano. Nel mondo contemporaneo occidentale occuparsi di agricoltura è lavorare con i mezzi di oggi, è conoscere le macchine e saperle utilizzare al meglio, conoscere la materia prima (la natura) e rispettarla davvero nel profondo, senza mistificazioni. E la vera agricoltura biologica è buona e da seguire non solo e non tanto per il bene che fa al singolo, il piacere di mangiare un pane prodotto con farine di prima qualità, ma per la salute di tutti: usare con parsimonia e non inquinare le acque, non intossicare gli animali (noi compresi), non alterare troppo gli equilibri naturali – anche se, nel nostro mondo, chi può dire con certezza cosa è “naturale” e cosa è indotto dall’uomo, è la nostra stessa presenza che altera e crea nuovi equilibri, paradossalmente per tornare all’eden primigenio dovremmo estinguerci.
Quindi, se ci andate, vedrete un forno a legna di ultima generazione, senza eccessi di farina sul fondo, un mulino con la macina di pietra all’interno di una struttura metallica che la protegge, tutte le strutture moderne, pulite, aspirate dalle ceneri dell’essiccazione. Però assaggerete anche uno squisito pane lievitato con pasta madre, potrete comprare diversi prodotti, sia chicchi che farine che lavorati, il tutto in un ambiente contemporaneo e piacevole, che ringrazia l’antico nella maniera più bella e autentica, semplicemente praticando il vero.

stasera Report: i biofurbi

Questa sera alle 21:45 su Rai 3 c’è una puntata molto interessante di Report sulla coltivazione biologica del riso e sui cosmetici bio. Io sono cresciuta in Lomellina, tra i chicchi di riso e le zanzare, e sono davvero curiosa di vedere quest’indagine.

il vero giardino planetario

State seguendo le avventure di Samantha Cristoforetti? È così bello vederci da lontano, sembriamo quasi carini!

la cura dei piccoli spazi

Si diceva ieri del giardino della Sutton House a Londra; trovate notizie complete qui, in quest’altra pagina pdf ci sono informazioni puntuali sul progetto: la comunità che l’ha portato avanti, il coinvolgimento dei locali, il progetto ufficiale sottoposto al giudizio e alla fine interamente finanziato dal fondo per i Pocket Parks istituito dal sindaco di Londra.
Il Pocket Parks Programme fa parte di un impegno di più ampio respiro preso a partire dal 2009 da Boris Johnson: il London’s Great Outdoors (pdf), un programma di miglioramento delle strade, delle piazze, dei parchi, dei canali e delle banchine della città – sono solo sedici agili pagine e si leggono con piacere, viene spiegato perché e come un progetto di riqualificazione di questo tipo è considerato strategico su più fronti, dalla sicurezza, al piacere di vivere il proprio quartiere, alla salute pubblica.
Al momento ci sono cento pocket parks, e da questa cartina si può vedere dove sono e qual è lo stato di avanzamento dei lavori.

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L’ultima meta alternativa è il Ditchling Museum of Art + Craft nell’East Sussex, vicino a Brighton, un piccolo museo (un pocket museum?) di arte e artigianato restaurato e ampliato l’anno scorso.

how to make your life with the natural world around you (dal video introduttivo)