È solo il martedì dopo Murabilia e mi vengono un sacco di pensieri. Niente sulla fiera in sé, che è stata la solita, per me. Non ho grandi appunti, tranne piccole pulci che non ho neanche voglia di tirare fuori: sono le solite cose di logistica spicciola, le carrette, i cartelli, i percorsi – mi annoio anche solo a pensarci. Solo una cosa: perché le conferenze tutte in orario mercato?
[Spiegone per i poco pratici = se le conferenze sono in orario fiera, è difficile che chi è fisso al proprio stand si possa muovere e parteciparvi; allo stesso modo il pubblico è poco propenso a interrompere il giro di acquisti e meraviglia botanica.]
Ne riporto una parte:
Venerdì 7 settembre
ore 18.00 – Aloe. Dall’Africa a Boccanegra, Ursula Drioli Salghetti
Sabato 8 settembre
ore 11.30 – Adipa 25 anni e non li dimostra, Pasquale Naccarati, Angelo Lippi
ore 15.00 – Giardinaggio Italia/Gran Bretagna: due realtà a confronto, Christopher Brickell, Roy Lancaster, Jim Jermyn, Alison Jermyn, Carlo Pagani, Maurizio Usai. Coordina Guido Piacenza
ore 17.45 – Diario di un cacciatore di piante dei nostri tempi: viaggio in Korea, Bleddyn Wynn-Jones (Crûg Farm Plants)
Domenica 9 settembre
ore 11.00 – Trekking botanico in Nepal, Michel Lumen (Lumen Plantes Vivaces)
ce ne sono almeno un paio a cui avrei partecipato volentieri – nella fattispecie quella di sabato alle tre del pomeriggio, per non essere vaga. E naturalmente non sono l’unica, di sicuro condivido l’interesse con alcuni colleghi e parte del pubblico. Perché non si sposta almeno un evento al di fuori dell’orario della mostra, magari quello che si pensa possa coinvolgere più persone, magari quello che può suscitare un dibattito vero?
Perché alla fine mi sembra di notare che la produzione e il mercato di piante insolite (“speciali”, come dicono a Masino, con un’espressione felice) in Italia sia sempre più risicato, che si facciano sempre i soliti discorsi fino allo sfinimento, che le facce siano sempre quelle, al limite un po’ invecchiate (io per prima), che la passione vada bene come spunto iniziale ma non possa essere un surrogato della capacità (parlo dell’ambito lavorativo). Avevo scritto una cosa a questo proposito in una email che per l’occasione riesumerò dalla memoria del computer:
ho l’impressione che un vivaismo sano e maturo si nutra prima di tutto di professionalità e grandi numeri. È un vivaismo diffuso, capillare, di qualità, attento, professionale, che accontenta tutti non perché si piega alla maggioranza, ma perché ha così tante sfaccettature che ogni esigenza è corrisposta nel concreto. E ogni cosa è necessaria perché tutto l’insieme funzioni, servono e lavorano sia le grandi aziende generaliste che le piccolissime di nicchia, ma senza un’assurda gerarchia di buoni e cattivi, conta la qualità, e la qualità dovrebbe essere ovunque, nel piccolo come nel grande. Penso ad esempio al mercato musicale dove esistono e coesistono il mainstream e il mercato indie, oppure il cinema da multisala e d’essai; e le categorie non sono così separate: chi non ha avuto esperienza di orribili e pretenziosi film di nicchia e invece ottime commedie da botteghino? I livelli, in qualche modo, comunicano e si vitalizzano l’un l’altro. Perché nel grande sta il piccolo, per legge di natura. Un manipolo di adepti alimenta un rivolo troppo scarso che rischia di scomparire dietro ogni curva.
(Santocielo, come sono pomposa quando scrivo le email! portate pazienza.)
E questo stato di cose, l’esiguità di domanda e offerta, immiserisce anche le persone, sono convinta, le spinge ad attaccarsi ancora di più al loro piccolo orto, piccolo vivaio, piccola esperienza, perdendo di vitalità e acquisendo cinismo con il passare del tempo.
Non so, a volte ho l’impressione che le mostre mercato di giardinaggio siano come le riserve in cui vive il panda gigante “nascosto tra il fitto fogliame della foresta, l’animale vive un’esistenza solitaria, incontrando i suoi simili solo occasionalmente” (dal sito del WWF)…
