Yearly Archive for 2010
Ho fatto un sogno bellissimo. Chi è stato al mio vivaio lo sa, dietro c’è un boschetto incolto; la prima parte è proprio a ridosso del mio campo, sul fondo ma di lato, un prunaio di alberi da frutto dimenticati – no, non frutti dimenticati, proprio un frutteto lasciato andare, abbandonato a sé stesso o ai pruni, come preferite. In fondo, invece, c’è un bosco, piccolo e inelegante, ma ugualmente scuro e intricato. I boschi veri, secondo me, non dovrebbero mai perdere quel senso di timore che suscitano e questo ci riesce benissimo; forse perché non è proprio a ridosso della strada, non ci sono odiose cartacce a riportarci alla questione umana. Siamo separati solo da una serie di canalizzazioni per me benedette, perché mi hanno permesso di abolire le recinzioni. Sta di fatto che ho sognato che nelle vicinanze – sapete come sono fatti i sogni, abbondano di strani riferimenti non del tutto leggibili a mente lucida, quindi non saprei dire esattamente dove -, vagamente dietro, comunque molto vicino, alla distanza di un balzo per oltrepassare un fossetto, c’era un bosco piantato di alberi già grandi. Al centro c’era un pioppo cipressino (Populus nigra var. italica), sono sicura, e tutt’attorno non saprei dire, comunque piante più basse; tutto era impegnato a dare maestosità al pioppo: gigantesco, antico e anche un po’ spelacchiato.
E’ bella questa qualità dei sogni, a volte, di dare unitarietà ai nostri pensieri. Mi capita spesso di ritornare con la memoria alla fiera di Villa Borghese a Roma, dove eravamo sotto una serie di mastodontici cipressi (Cupressus sempervirens) amici – il cipresso è una pianta che non mi stanco mai di guardare e so che sarà sempre così, ma non è una pianta della mia giovinezza lombarda -, mentre in tante altre parti del parco ci sono dei lecci (Quercus ilex), che io non amo molto, e vicino al chioschetto dei panini c’era un Cercis siliquastrum vecchio, a due tronchi, superbo. Ora mi arriva, dalla sospensione della coscienza, questo pioppo cipressino, quello sì un imprinting lombardo.
La fine della storia è sconosciuta ai più, soprattutto a me.
Grande invidia oggi nei confronti di chi andrà all’incontro con Dan Pearson a Roma. Invito tutti – soprattutto chi mi conosce – a prendere molti appunti perché aspetto di ricevere numerose tesine sul tema. Mi raccomando, che l’argomento sia corredato di immagini, note precise sulle essenze usate e tutto quanto serva per una perfetta comprensione e successiva rielaborazione personale.
Sarò incontentabile, siete avvertiti!
Come ogni anno, il comitato che organizza Murabilia promuove un incontro su tematiche inerenti la cultura vivaistica, l’agricoltura in senso più ampio e la diffusione dei contenuti che la riguardano.
Venerdì 26 novembre alle ore 15, presso la Camera di Commercio di Lucca, avrà luogo il seminario:
Pagine verdi – carta, etere, rete
- Francesco Mati (dell’omonimo vivaio) parlerà dei cataloghi dei vivai
- Alberto Locatelli (giornalista dell’Informatore Agrario) si occuperà delle riviste di settore
- Giuseppe Mascambruno (direttore de La Nazione) si occuperà dei grandi quotidiani
- Vittoria Colonna di Stigliano (presidente Ville e Palazzi Lucchesi) parlerà della comunicazione nell’ambito dei giardini storici
- Nicola Lencioni (di Anteprimaadv) parlerà di comunicazione grafica
- Marcello Petrozziello (giornalista) si occuperà di informazione commerciale e giornalismo
Qui trovate la locandina dell’incontro e qualche ulteriore informazione.
Leggo sul blog di Mimma Pallavicini una notizia che riguarda Terzigno, un comune in provincia di Napoli protagonista della cronaca in quanto sede di una delle discariche scandalo. In breve, in zona è stato raccolto un limone dalla forma un po’ strana, bitorzoluto, fasciato; prontamente fotografato e battezzato Limone Frankenstein.
Premesso che la questione del trattamento dei rifiuti è un argomento complesso, sul quale ho opinioni abbastanza irrilevanti che mi faccio di volta in volta leggendo e ascoltando le notizie che arrivano sui media, trovo inaccettabile che si utilizzi questa “non-notizia” per creare ulteriore confusione.
Come dice bene Mimma e anche, nei commenti, Lorenza (di iris e libellule) e, proprio ora che scrivo, Renato (di meristemi), le anomalie sono la prassi in natura – anche se detta così sembra un ossimoro. Esiste il cedro ‘Mano di Budda’, esistono variegature causate da virosi e mille altre stupefacenti piccole e grandi variazioni dei fiori, dei frutti e di tutte le parti delle piante. Chiunque abbia un minimo di, non dico dimestichezza, ma semplice vicinanza e desiderio di guardare il verde che gli sta attorno, lo può notare: basta un semplice quadrifoglio!
Che nel napoletano si stia consumando una delle cose più gravi della nostra epoca e che l’inquinamento profondo del territorio sia tragico non c’è dubbio, ma le cose che capitano in ambiti di cui non si sa nulla, non possono essere usate e manipolate a piacimento per sostenere questa o quella tesi.
E poi, siamo così sicuri che il limone bello, lustro, prototipo e fotogenico, sia sano e saporito? Ma qui si apre un altro discorso che prima o poi occorrerà fare.
Update: ulteriori approfondimenti qui.
Un ottimo articolo qui.
Ho letto “Giardini e no” di Umberto Pasti e mi è piaciuto a tratti.
L’inizio è bello, sono solo due paginette ma dense di contenuti e significati che mettono in moto riflessioni; molto semplice, ben scritto, con un suo ritmo e una sua chiarezza di pensiero: predispone alla lettura. Però ancora dobbiamo iniziare, e quel che viene dopo non arriva allo stesso piano dell’apertura, a mio parere è un gradino sotto. Rimane la bella scrittura, ma prende un tono più sentenzioso, velenosetto, giudicante; intendiamoci, il limite è anche mio, ognuno di noi ha preferenze e inclinazioni e io non amo l’approccio polemico sulle piccole cose o, meglio, ritengo fondamentale la critica ma solo se è rivolta a opere per la collettività, se è animata da uno spirito civico implacabile e da un senso di giustizia di ordine superiore.
Tutti noi come singoli siamo così suscettibili di critica, così minuscoli e sbagliati, pieni di errori e contraddizioni, bisognosi di creare e partecipare a qualcosa di più grande o comunque di trovare un aggancio a ciò che di grande c’è in noi. Non riesco a partecipare alla critica sul singolo, cioè, vagamente vedo che ci sono brutture e storture, ma, al grado uno del giardinaggio, credo occorra una certa benevolenza. Trovo meritevole a prescindere che ci si dedichi al mondo della natura e ho fiducia che dal contatto con vite diverse ma affini alla nostra possano scaturire e maturare persone migliori; non è detto che da un primo approccio superficiale e modaiolo non si possa arrivare alla vera gioia della creazione, al perdersi, a capire cose inesprimibili e semplicemente partecipare. Una sola richiesta, credo: che si lavori davvero e anche, spesso, in solitudine in giardino, forse è questo l’unico consiglio che mi sento di dare, di spendere tempo e fisico all’aria aperta. Si possono delegare molti lavori, avere aiuto sia progettuale che operativo, condividere una visione d’insieme con chi ha la giusta professionalità ed esperienza, ma è possibile conoscere la gioia e la ferocia pulita della natura solo nel corpo a corpo.
Quindi, per me, i capitoli sul collezionista, la signora eccentrica, il miliardario, il garden designer, l’orientalista, potrebbero anche non esserci, pur contenendo a tratti espressioni condivisibili e sintesi illuminanti.
Ad esempio quando riflette sul buon gusto:
Il buon gusto fa danni ovunque. Ma in giardino si rivela un autentico Gengis Khan. Probabilmente perché nulla, in natura, è bello di per sé come le piante e i fiori. Osserva la foglia di un Leccio o i petali di un Narciso: ti succede sovente di ammirare un corpo vivo così delicato e complesso, di carezzare quello che potresti scambiare per un oggetto, e palpita invece di un’esistenza misteriosa? Osservare un fiore è come osservare una vita completamente arresa (il fiore non se ne scappa come farebbero la rana o la farfalla) eppure completamente impenetrabile. E’ impossibile immaginare un accostamento più stridente di quello tra bellezza e buon gusto.
Illustra poi un rapporto armonioso con la natura e parla del cosiddetto “giardino del benzinaio”, di quei luoghi ostili in cui a volte si annida la bellezza, il bisogno di riscatto, la ricerca di decoro in un contesto difficile e violento (visivamente aggressivo e volgare, quindi pericoloso). Un capitolo riuscito che mette in luce la necessità primaria di bellezza, da creare, di cui circondarsi, nella quale specchiarci; non lo stereotipo legato alle mode passeggere che con la sua fissità cieca e sorda ci inchioda al cliché, ma il vitale, mutevole, ricco ignoto che ci orienta verso la nostra reale posizione sul pianeta.
Funziona davvero quando è affettuoso e partecipe, nella seconda parte del libro. Il capitolo sulla Baitìa – la casa vicina a quella in cui abita l’autore, nel nord del Marocco -, luogo mitico ma reale dove vive la famiglia Bando, posto in cui le barriere fra specie sono state eliminate, e dove in una danza convivono giovani, vecchi, polvere, piante e animali mescolati, irriconoscibili e interscambiabili tra loro. Il libro è infatti dedicato a due bambini Bando, Mohammed e Lotfi, che mangiano le farfalle.
Ci sono due capitoli finali che possono risultare utili: consigli, riflessioni, letture, personaggi e parallelismi d’arte.
Ricopio qui un paio di spunti di pensiero che servono a tenerci allerta nelle lunghe sere d’inverno o in queste giornate piovose:
Prova a immaginare un capo di stato contemporaneo in giro per i campi a contare le verietà della sua specie botanica favorita. Poi rifletti sul progresso compiuto dall’uomo.
Intuire la possibilità di una relazione diversa da quella attuale tra noi e il mondo è all’origine dal giardinaggio.
Giovedì 2 dicembre, presso la British School a Roma, l’associazione Giardini Aperti – Giardineria organizza un incontro con Dan Pearson.
A differenza della conferenza di giugno, in cui l’autore aveva presentato il libro “Spirit – Garden Inspiration”, ora l’argomento sarà il suo lavoro, sia nell’approccio generale che nell’illustrazione dei singoli progetti.
Dal 12 ottobre 2010 al 2 maggio 2011, alla Turbine Hall, presso la galleria d’arte moderna e contemporanea Tate Modern di Londra, l’artista cinese Ai Weiwei espone l’opera Sunflower Seeds 2010.
Il video è un piccolo documentario che spiega come è stata concepita e realizzata l’opera; mi rendo conto che quando si legge la durata – 14 minuti e 42 – si perda all’istante la voglia di vederlo, ma in questo caso si sbaglia: è un documento bellissimo, interessante e a tratti quasi commovente – non di quella commozione becera e insincera di cui è pieno il mondo, ma un sentimento empatico che ci fa comprendere realtà anche molto lontane dal nostro quotidiano.
Sono stati riprodotti in porcellana milioni di semi di girasole ancora nei gusci, ciascuno affinato, dipinto e cotto nella città di Jingdezhen. Non si è trattato di un lavoro industriale, ma è il frutto del mestiere di centinaia di mani operose. Questi cento milioni (100.000.000.000) di semi sono stati riversati nella grande Turbine Hall, creando un paesaggio infinito. Sunflower Seeds ci invita a guardare più da vicino al fenomeno del “Made in China” e alla geopolitica dello scambio culturale ed economico odierno.
A questa pagina trovate un breve testo che spiega l’opera in maniera semplice e chiara, qui sono citate alcune frasi dell’artista.
Ai associa i semi di girasole – la merenda più comune tra i ragazzi – alla brutale Rivoluzione Culturale (1966/76) di Mao Zedong. Mentre gli individui venivano privati della libertà, l’immagine di propaganda raffigurava il presidente come un sole e i cittadini come una massa di girasoli rivolti verso di lui. Nonostante tutto, Ai ricorda la condivisione dei semi di girasole come un gesto di compassione umana, che rendeva possibili spazi di piacere, amicizia e gentilezza durante un periodo di povertà estrema, repressione e incertezza.
Nella foto, scattata a metà luglio di quest’anno, vedete in primissimo piano i fiori gialli di Silphium perfoliatum, dietro cui spiccano l’azzurro violaceo dell’Agastache rugosa ‘Liquorice Blue’ e le foglie glauche dell’Allium fistulosum.
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Il primo fiore della Boltonia decurrens, sullo sfondo la Verbena bonariensis.
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La K. che ho fotografato stamani.
Si chiama anche K. ‘C. M. Prichard’ dei giardini e fiorisce molto tardi, in genere non prima della seconda metà di settembre. Mi piace perché regala una sfumatura d’arancio anche in zone climatiche in cui i colori autunnali non sono così eclatanti come al nord e le infiorescenze sono insolitamente tonde. Inoltre, arrivando tardi, prepara lentamente l’esplosione del fiore che rimane fresco e allegro a lungo.
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L’anno scorso a quest’ora:
Nella foto si vedono:
a sinistra e a destra le foglie brune del Cotinus coggygria ‘Royal Purple’, i puntini nebulosi dell’Eragrostis trichodes, le spighe compatte erette e luminose del Pennisetum macrorum, le margherite a centro rosa dell’Aster lateriflorus ‘Lady in Black’, a sinistra in secondo piano i fiori rossi della Salvia microphylla ‘Royal Bumble’, le ombrelle piatte sfiorite ma belle del Sedum ‘Autumn Joy’ e il marrone metallico del Carex tenuiculmis.
(foto di Andrea Martiradonna)
Chiedo scusa a tutti, ma il prossimo fine settimana non sarò a Pontenure (Piacenza) alla manifestazione “Frutti antichi”. Purtroppo ho preso un malanno, blando ma persistente, e non riesco a far fronte all’impegno. Comunque ci saranno molti colleghi pronti a soddisfare il desiderio di piante dei più; ci si vede a Masino!
Sto leggendo “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi e vorrei consigliarlo perché è proprio un bel libro.
Non mi dilungo nella descrizione dei contenuti – li trovate un po’ ovunque, dal momento che ha vinto il premio Strega – ma mi riallaccio ad un articolo di Guido Giubbini sull’ultimo numero (il 22) di ROSANOVA, “Il paesaggio come opera d’arte, luogo sacro, sedimento di storia e di memoria”; non è tra i migliori articoli di Guido il quale, a mio parere, dà il meglio di sé quando può metterci qualcosa di personale, arguto e irriverente, ma dice cose molto sensate e condivisibili. E’ da tempo, infatti, che mi interessa, più che l’intervento puntuale e pregevole del privato, l’opera per la collettività, pubblica, la città, il paesaggio, lo snodo delle strade; la capacità di leggere le intenzioni e le necessità di tutti piuttosto che di uno. In soldoni: mi appassionano moltissimo le opere pubbliche, grandi, e meno il giardino privato. Intendiamoci, mi perdo nel singolo fiore, ma tendo a essere più disincantata, avendo visto che negli anni arrivano e ripartono mode, si hanno passioni, pallini, manie, ci si straccia le vesti e poi ci si ricompone; ora la vera intenzione con ruga verticale in fronte la metto nel pubblico.
Per questo forse mi piace così tanto la storia della famiglia Peruzzi che dal Veneto parte alla bonifica delle Paludi Pontine, in una storia d’Italia attraverso il territorio. E per lo stesso motivo non vedo l’ora di andare alla Biennale di Architettura a Venezia, che ha un titolo così evocativo People meet in architecture e una direttrice piccina ma forte come un bambù.
Nota: lascio i commenti aperti su cortese insistenza di Paolo Tasini di attraverso giardini, spero di resistere e che sia utile.
- 13. Il perimetro esterno dovrebbe essere progettato con la massima attenzione, come fosse una scultura, una pianta particolarmente significativa o qualche arredo di design. Nonostante sia limitato come spazio orizzontale, può avere una superficie verticale importante e contribuire in maniera fondamentale al disegno del giardino. Spesso è un elemento sottovalutato e risolto in modo sbrigativo, con una siepe uniforme, ma vale la pena considerarlo alla stregua di tutto lo spazio a nostra disposizione, per creare un equilibrio esterno/interno.
- 14. Schermarsi dall’esterno non significa solo creare un recinto lungo il perimetro, ma cercare di progettare anche all’interno dei punti più raccolti, ad esempio con un piccolo albero che protegge la zona relax o rende più intimo il luogo dove si mangia.
- 15. Se dalle finestre di casa vedo il giardino, le regole abituali di progettazione possono essere sovvertite per comporre degli scenari, simili a fotografie o ad allestimenti teatrali, da osservare dall’interno.
- 16. Evitate le piante che tendono a svilupparsi molto in larghezza, inevitabilmente e in poco tempo si prenderanno più spazio del dovuto. Sono da privilegiare cespugli eretti piuttosto che allargati – il suolo, in un piccolo giardino, è un bene prezioso! -, siate molto attenti alle dimensioni ultime delle piante. Se state scegliendo un albero, cercatene un esemplare maturo da vedere in natura per farvi un’idea quanto più esatta possibile delle dimensioni finali: trovarsi nella condizione di potare ripetutamente una pianta può essere frustrante per noi oltre che per “lei”.
- 17. I giardini scuri spesso sembrano più piccoli di quanto non siano in realtà. Le piante con variegature gialle o bianche danno un tocco di luce ad angoli altrimenti bui; l’edera variegata illumina il muro che la sostiene, sebbene possa risultare un po’ invasiva.
- 18. I rampicanti occupano una porzione di suolo molto limitata e riescono a rendere bello un muro che non lo è. Allo stesso scopo, offrire una impalcatura a spalliera alle piante adatte (vite, agrumi, meli, peri, etc.), riveste una superficie di colore, chioma e profondità verde, con un disegno ordinato e insieme allegro.
- 19. Le piante a fusto libero, con i rami impalcati verso l’alto, sono una buona scelta nei giardini di piccole dimensioni. La chioma protegge da sguardi indiscreti, mentre il tronco occupa poco spazio alla base; inoltre, se è previsto un impiantito, potrà essere posato vicino al tronco senza danni.
- 20. Sia che siano piante o materiali, limitate il numero di colori ad uno schema semplice: l’ordine e la coerenza contribuiranno a dare una sensazione di spazio armonioso e rilassante.
- 21. Riporre gli attrezzi è fondamentale anche nei piccoli giardini, il più delle volte però, un capanno risulta essere un pugno in un occhio. Le comodità di servizio vanno concepite e progettate con la massima attenzione o rischiano di compromettere del tutto la bellezza di un luogo.
- 22. Siate audaci e provate soluzioni coraggiose. Le piante ben strutturate, di solida impalcatura, con fogliame grande, risultano sorprendentemente adatte ai piccoli spazi, spesso meglio di piante più anonime, con foglie piccole, fitte e disordinate.
- 23. Troppi materiali diversi possono rendere caotico un piccolo spazio, ma troppo pochi lo rendono sciatto e privo di carattere. Di solito tre materiali – ad esempio pietra, legno e muratura dipinta – funzionano bene; un quarto – metallo – può essere usato per i dettagli e le rifiniture.
- 24. I piccoli prati all’ombra, soggetti ad un continuo calpestio, magari frequentati da cani e bambini, sono da dimenticare. Meglio cercare soluzioni alternative, ad esempio la ghiaia naturale tonda a pezzatura fine.
- 25. Non siate tentati dall’avvicinare troppo alla casa le zone pavimentate, di sosta, in cui sedersi a mangiare o a chiacchierare; se le allontanate verso il giardino, magari sotto ad un albero, creerete dei percorsi per raggiungerle e tutto lo spazio verrà sfruttato a pieno, aiutando l’integrazione fra casa e giardino – interno ed esterno.
- 26. La chiave per una buona progettazione di piccoli giardini è la scelta accurata di cosa eliminare. L’armonia fra spazi pieni e spazi vuoti è l’ingrediente principale di un disegno equilibrato; resistete alla tentazione di riempire ogni angolo. Nei piccoli giardini più che altrove il meno diventa più – less is more.
- 4. Non riempire il giardino di oggetti; pochi grandi elementi – ad esempio un vaso importante, un contenitore fiorito, qualche arredo originale – sono di maggiore impatto rispetto a una moltitudine di piccole cose che finiscono per disturbare la vista e creare disordine.
- 5. Le linee curve e i cerchi ingannano l’occhio e creano movimento in una statica pianta rettangolare.
- 6. Le variazioni di quota rendono più dinamico un giardino altrimenti piatto; anche un semplice gradino a scendere che introduce in un’area in cui sedersi la rende più intima e privata, mentre, al contrario, se la zona dove si mangia è rialzata, ci si sente troppo esposti e visibili.
- 7. Studiare con attenzione una struttura di sempreverdi topiati (bosso, tasso, etc.) è fondamentale nei piccoli spazi per dilatare il periodo di interesse del giardino e non limitarlo solo alla stagione di fioritura delle erbacee perenni. E’ in parte il discorso cui si accennava al punto 2., aver sempre ben presente il susseguirsi delle stagioni e i rispettivi comportamenti delle essenze che scegliamo, quali andremo a tagliare in autunno o in inverno, quali rimarranno fisse e abbastanza immutabili, quali lasceremo crescere libere, a quali daremo una forma geometrica, se gli arredi verranno spostati o rimarranno all’esterno, eventuali vasi da rimpiazzare.
- 8. Troppi arredi leggeri possono riempire un piccolo spazio; conviene, ad esempio, prendere in considerazione l’opportunità di sedersi su piccoli muretti di contenimento, piuttosto che avere sedie sparse.
- 9. I gradini possono servire da sedute occasionali.
- 10. La superficie dei muretti, se abbastanza alti e rifiniti, potrà servire come appoggio per piatti e bicchieri.
- 11. L’arredo dovrebbe essere versatile e multifunzionale, come accennato al punto 1., le sedie essere abbastanza alte per mangiare al tavolo e abbastanza comode per stare seduti a lungo.
- 12. Se un giardino è esposto a sguardi esterni, raramente la soluzione sarà imprigionarsi dietro alti muri e recinzioni che escludono completamente dal contesto e rimpiccioliscono ulteriormente lo spazio, spesso creando un effetto gabbia. Il metodo migliore è creare un senso di intimità con una leggera velatura di tende, un grigliato di rampicanti o un unico albero la cui chioma schermi un particolare angolo visuale che ci infastidisce.
to be continued…
Su Gardens Illustrated di questo mese si parla di piccoli giardini e, oltre ad illustrarne qualcuno, Andy Sturgeon – vincitore del “Best in Show” al Chelsea Flower Show di quest’anno – dà alcuni consigli pratici e alcune idee che secondo lui possono far funzionare meglio uno spazio di piccole dimensioni. Penso sia utile riportarle poiché la più parte dei nostri giardini è una piccola parcella di terreno davanti casa e spesso ci si adagia nella riproposizione degli stessi stanchi schemi che magari non soddisfano più nessuno, ma che ci seguono con la forza dell’ineluttabile.
Riporto qui, in parte traducendo, in parte integrando con farina del mio sacco, i punti salienti della disamina.
- 1. Ogni cosa, in un piccolo giardino, dovrebbe avere più funzioni: una panca diventare un contenitore, il tetto di un capanno può essere ricoperto di sedum fioriti e i muretti diventare comode sedute; insomma, tutto all’occorrenza può cambiare ruolo, scopo e compito in base a quello che ci serve o che desideriamo.
- 2. Ciascuna pianta dovrebbe avere molteplici punti di interesse: non solo fiori, ma bacche, colori autunnali, toni di verde, tessitura e corteccia interessanti. E’ un punto da tenere a mente in modo particolare perché spesso la pianta è identificata solo e unicamente dal fiore e dalla stagione di, appunto, fioritura, ma una pianta esiste sempre e ci accompagna ben oltre il semplice dispiegarsi della corolla. Conosciamo davvero le nostre piante in tutte le loro forme di vita e riposo?
- 3. Le zone in cui si sta seduti dovrebbero essere flessibili. Una panca fissa insieme a poche, comode sedie libere e un tavolo è la combinazione più versatile.
to be continued…
La nuova produzione è pronta per essere trapiantata in giardino; alcune piante (ad esempio Heliopsis helianthoides subsp. scabra ‘Summer Nights’, Pennisetum thumbergii ‘Red Buttons’, seminate a marzo) sono in boccio, altre addirittura in fiore (le ovvie gaura e verbena, Inula racemosa ‘Sonnenspeer’ semina 2009).
Nell’immagine si vede in primo piano l’Helichrysum italicum quasi fiorito e dietro i capolini stretti e lucenti della Santolina rosmarinifolia (S. virens, S. viridis).
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Una piccola foto che la mia amica Silvia ha fatto con il cellulare circa tre settimane fa alla parte di vivaio che stiamo sistemando in questi mesi.