Ho letto “Giardini e no” di Umberto Pasti e mi è piaciuto a tratti.

L’inizio è bello, sono solo due paginette ma dense di contenuti e significati che mettono in moto riflessioni; molto semplice, ben scritto, con un suo ritmo e una sua chiarezza di pensiero: predispone alla lettura. Però ancora dobbiamo iniziare, e quel che viene dopo non arriva allo stesso piano dell’apertura, a mio parere è un gradino sotto. Rimane la bella scrittura, ma prende un tono più sentenzioso, velenosetto, giudicante; intendiamoci, il limite è anche mio, ognuno di noi ha preferenze e inclinazioni e io non amo l’approccio polemico sulle piccole cose o, meglio, ritengo fondamentale la critica ma solo se è rivolta a opere per la collettività, se è animata da uno spirito civico implacabile e da un senso di giustizia di ordine superiore.
Tutti noi come singoli siamo così suscettibili di critica, così minuscoli e sbagliati, pieni di errori e contraddizioni, bisognosi di creare e partecipare a qualcosa di più grande o comunque di trovare un aggancio a ciò che di grande c’è in noi. Non riesco a partecipare alla critica sul singolo, cioè, vagamente vedo che ci sono brutture e storture, ma, al grado uno del giardinaggio, credo occorra una certa benevolenza. Trovo meritevole a prescindere che ci si dedichi al mondo della natura e ho fiducia che dal contatto con vite diverse ma affini alla nostra possano scaturire e maturare persone migliori; non è detto che da un primo approccio superficiale e modaiolo non si possa arrivare alla vera gioia della creazione, al perdersi, a capire cose inesprimibili e semplicemente partecipare. Una sola richiesta, credo: che si lavori davvero e anche, spesso, in solitudine in giardino, forse è questo l’unico consiglio che mi sento di dare, di spendere tempo e fisico all’aria aperta. Si possono delegare molti lavori, avere aiuto sia progettuale che operativo, condividere una visione d’insieme con chi ha la giusta professionalità ed esperienza, ma è possibile conoscere la gioia e la ferocia pulita della natura solo nel corpo a corpo.
Quindi, per me, i capitoli sul collezionista, la signora eccentrica, il miliardario, il garden designer, l’orientalista, potrebbero anche non esserci, pur contenendo a tratti espressioni condivisibili e sintesi illuminanti.
Ad esempio quando riflette sul buon gusto:
Il buon gusto fa danni ovunque. Ma in giardino si rivela un autentico Gengis Khan. Probabilmente perché nulla, in natura, è bello di per sé come le piante e i fiori. Osserva la foglia di un Leccio o i petali di un Narciso: ti succede sovente di ammirare un corpo vivo così delicato e complesso, di carezzare quello che potresti scambiare per un oggetto, e palpita invece di un’esistenza misteriosa? Osservare un fiore è come osservare una vita completamente arresa (il fiore non se ne scappa come farebbero la rana o la farfalla) eppure completamente impenetrabile. E’ impossibile immaginare un accostamento più stridente di quello tra bellezza e buon gusto.
Illustra poi un rapporto armonioso con la natura e parla del cosiddetto “giardino del benzinaio”, di quei luoghi ostili in cui a volte si annida la bellezza, il bisogno di riscatto, la ricerca di decoro in un contesto difficile e violento (visivamente aggressivo e volgare, quindi pericoloso). Un capitolo riuscito che mette in luce la necessità primaria di bellezza, da creare, di cui circondarsi, nella quale specchiarci; non lo stereotipo legato alle mode passeggere che con la sua fissità cieca e sorda ci inchioda al cliché, ma il vitale, mutevole, ricco ignoto che ci orienta verso la nostra reale posizione sul pianeta.
Funziona davvero quando è affettuoso e partecipe, nella seconda parte del libro. Il capitolo sulla Baitìa – la casa vicina a quella in cui abita l’autore, nel nord del Marocco -, luogo mitico ma reale dove vive la famiglia Bando, posto in cui le barriere fra specie sono state eliminate, e dove in una danza convivono giovani, vecchi, polvere, piante e animali mescolati, irriconoscibili e interscambiabili tra loro. Il libro è infatti dedicato a due bambini Bando, Mohammed e Lotfi, che mangiano le farfalle.
Ci sono due capitoli finali che possono risultare utili: consigli, riflessioni, letture, personaggi e parallelismi d’arte.
Ricopio qui un paio di spunti di pensiero che servono a tenerci allerta nelle lunghe sere d’inverno o in queste giornate piovose:
Prova a immaginare un capo di stato contemporaneo in giro per i campi a contare le verietà della sua specie botanica favorita. Poi rifletti sul progresso compiuto dall’uomo.
Intuire la possibilità di una relazione diversa da quella attuale tra noi e il mondo è all’origine dal giardinaggio.