Siamo arrivati al capitolo finale della semina, quando terminano i nostri compiti e inizia la parte più difficile: l’attesa. E, nonostante siano anni che semino e spesso si tratta di ripetere più che intraprendere, il rito non ha perso di smalto e continuo l’avvincente ciclo di scelta, prova, nascita o disfatta. Certo, esiste ricoltivare, quelle belle placche che arrivano fragranti dall’Olanda, piene di talee, di novità elette dal mercato, ma perché privarsi di un piacere così semplice? Bello avere in catalogo qualche novità, ma bello anche circondarsi e proporre piante che si conoscono da quando erano piccoli semi.
– Abbiamo messo i semi nella terra, ora occorre coprirli con un leggero strato di terriccio. Come consigliano tutti i manuali, lo strato di copertura deve essere sottile, generalmente proporzionato alla dimensione del seme, vale a dire che più i semi sono piccoli meno li si deve coprire. Il ragionamento è abbastanza intuitivo: interrare in profondità significa che se la pianta arriva a germogliare non riuscirà ad arrivare in cima al substrato; più facilmente esaurirà la carica vitale nello spazio di risalita e avvizzirà prima di aver avuto la forza di affacciarsi al mondo.
Quindi coprire il seminato con il terriccio, livellare e premere leggermente in superficie.
– La placca va posta sopra ad una griglia sollevata da terra per impedire dannosi ristagni d’acqua. Ad esempio si può girare sottosopra una cassetta della frutta in plastica che fungerà da base per i contenitori alveolari.
– Annaffiare, anzi, vaporizzare il seminato. E’ bene chiarire che, finché i semi sono sotto la coltre di terriccio oppure le plantule sono appena nate e quindi piccole in tutte le loro parti – apparato radicale compreso – non bisogna esagerare con l’acqua. La prima volta che annaffiamo è bene “impolpare” il terriccio in modo il più possibile uniforme, ma in maniera lieve, leggera, attraverso un vaporizzatore. Nei giorni successivi faremo in modo che il substrato non asciughi mai.
Io sto molto attenta anche alla qualità dell’acqua che uso, probabilmente per molti sarà un’accortezza eccessiva (che confina col fanatismo, ammettiamolo), ma quando si seminano cose preziose, parimenti bizzose e altrettanto costose, si diventa quasi scaramantici nei propri riti di semina. Quindi se mi vedrete alla fonte a riempire taniche d’acqua, ora sapete il motivo – parlo per i lucchesi.
– Ora occorre trovare un posto per le nostre placche piene di semi e cariche di aspettative. La serra fredda è l’ideale, ma non facciamoci ingannare dal nome, si dice serra fredda un ambiente coperto (nylon, vetro), ombreggiato e posto all’esterno, di fatto può diventare un invivibile forno appena inizia la bella stagione. È un ambiente protetto e riscaldato solo nei momenti di maggior irraggiamento solare, senza ulteriori fonti di calore. Come tutti sappiamo, le serre sono calde finché c’è il sole e diventano fredde appena arriva una nuvola a coprirlo. Ed è proprio questo che desiderano i semi, questa alternanza di caldo e freddo aiuta la germinazione, dovremo quindi cercare di riprodurla nelle semine casalinghe. È per questo che sconsiglio la semina in casa, dove non ci sono sbalzi termici. Ci si può attrezzare una serretta fai da te in un angolo del giardino o sul balcone, l’importante è che sia ombreggiata – non all’ombra, ma protetta dai raggi diretti del sole – e abbastanza grande da assicurare la ventilazione, soprattutto quando le piantine iniziano a crescere.
– Bene, ora aspettiamo vaporizzando.
– Le piante iniziano a fare capolino. I tempi variano moltissimo, alcune annuali si presentano in un paio di giorni e tutte insieme come soldatini, le perenni ci mettono almeno una settimana, di solito due, tre o anche di più. Alcune nascono a singhiozzo, prima poche poi in abbondanza.
La straordinaria variabilità che avevamo visto in nuce nei semi, si traduce nella bizzarria della germinazione e nel successivo dispiegamento del meraviglioso.
A questo punto bisogna imparare a osservare e capire i “messaggi vegetali” – ad esempio se le piantine si allungano troppo (filano) significa che hanno bisogno di più luce – semplici nozioni che si acquisiscono con l’esperienza.
– Quando le piantine saranno alte circa 2/3 cm sono pronte per essere rinvasate. La mia esperienza dice che è meglio rinvasare un giorno prima che uno dopo; le plantule nei contenitori alveolari in serra sono soggette ad ogni tipo di malattia fungina, esiste una vera e propria moria dei semenzali, quindi è bene che le piante raggiungano il mondo esterno in tempi brevi. Alcune, poi, non amano per niente stare in semenzaio (l’ Erigeron karvinskianus, per dirne una) e rimangono basse e stentate pur lavorando nel terreno sottostante, quindi meglio liberarle quanto prima. Altre invece si sviluppano in modo lasco e prostrato sul terreno (i Dianthus, la Gypsophila, eccetera) e diventa difficile estrarle dagli alveoli quando sono più cresciute.
– Estrarle dagli alveoli con molta cautela per non rompere il pane di terra; ci si può aiutare con un lapis a spingere le piantine fuori dai contenitori. Rinvasarle in vasetti non troppo grandi, di solito un diametro 9 è perfetto, in terriccio mescolato con pomice di granulometria fine. Bagnare (questa volta, finalmente, con un normale annaffiatoio) e mettere all’ombra per circa due settimane. Bagnare i vasetti facendo attenzione a non eccedere con le annaffiature – all’ombra le piante mantengono meglio l’umidità e si tratta di piantine appena rinvasate, con un apparato radicale ancora poco sviluppato.
Spostare al sole e buon lavoro!
the end